Circa dieci anni dopo Blind Date, Stanley Tucci torna alla regia con Final Portrait – L’arte di essere amici, film che prende in esame il legame creatosi, in diciotto giorni, tra l’artista Alberto Giacometti e lo scrittore americano James Lord.
Nel 1964, durante un breve viaggio a Parigi, lo scrittore americano e appassionato d’arte James Lord (Armie Hammer) incontra il suo amico Alberto Giacometti (Geoffrey Rush), artista di fama internazionale, che gli chiede di posare per lui, per l’ultimo quadro della carriera.
Tratto da un romanzo autobiografico dello stesso Lord, Un ritratto di Giacometti, il lavoro di Stanley Tucci (che oltre a dirigere, ha scritto la sceneggiatura), presentato allo scorso Festival di Berlino e, successivamente, al Torino Film Festival, cerca di analizzare il processo creativo di Giacometti e il rapporto di amicizia tra due persone completamente diverse.
Tratto da un romanzo autobiografico dello stesso Lord, Un ritratto di Giacometti, il lavoro di Stanley Tucci (che oltre a dirigere, ha scritto la sceneggiatura), presentato allo scorso Festival di Berlino e, successivamente, al Torino Film Festival, cerca di analizzare il processo creativo di Giacometti e il rapporto di amicizia tra due persone completamente diverse.
Con un lavoro di macchina a mano ed inquadrature
ravvicinate, fa solo riflettere il processo creativo attraverso i soliti cliché da artista
tormentato: un genio sregolato e sulla strada dell’autodistruzione, che
vive le sue giornate tra vino, prostitute e una sigaretta via l’altra.
Forse il lavoro di Tucci si accompagna a quello dell’artista svizzero: non arrivare mai al punto, non riuscire a concludere l’opera.
Forse il lavoro di Tucci si accompagna a quello dell’artista svizzero: non arrivare mai al punto, non riuscire a concludere l’opera.
Tucci ha preferito rimanere in territori conosciuti, senza prendersi
rischi di analisi, saggiando il terreno del biopic senza entrarci in
toto (sebbene lui abbia ammesso di tenersene a distanza), facendosi mero
romanziere teatrale di vita giacomettiana, giorno dopo giorno, per
diciotto giorni.
Final Portrait – L’arte di essere amici si avvale anche del lavoro di Danny Cohen, direttore della fotografica e di Evan Laurie (che ha lavorato con Roberto Benigni per film come Il Mostro, Johnny Stecchino e Il Piccolo diavolo),
per le musiche. Entrambi, insieme alla scenografia, sono inclini alla
malinconia da Nouvelle Vague e sottolineano, anche se non in toni
memorabili, il tormento e il caos dell’artista svizzero.
La recensione integrale su My Red Carpet
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