domenica 25 febbraio 2018

Sconnessi - Quando si palesa la nomofobia

L’opera seconda di Christian Marazziti (dopo E-bola del 2015) vuole indagare il fenomeno della nomofobia (la paura di rimanere senza connessione), cercando di capire quanto la realtà virtuale stia manipolando noi stessi e quanto sia importante darsi delle possibilità, per far sì che questo mondo non ci isoli da noi e dagli altri.


Ettore (Fabrizio Bentivoglio), noto scrittore, guru dell’analogico e nemico pubblico di internet, in occasione del suo compleanno porta tutta la famiglia nel suo chalet in montagna, e cerca di creare finalmente un legame tra i suoi due figli, Claudio (Eugenio Franceschini), giocatore di poker on line, e Giulio (Lorenzo Zurzolo), liceale nerd e introverso, con la sua seconda moglie, la bella, giovane e un po’ ‘naif’ Margherita (Carolina Crescentini), incinta al settimo mese. Al gruppo si uniscono anche Achille (Ricky Memphis), fratellastro di Margherita appena cacciato di casa dalla moglie, e Tea (Giulia Elettra Gorietti), giovane fidanzata di Claudio e devota fan di Ettore. Arrivati allo chalet, trovano Olga (Antonia Liskova), l’affidabilissima tata ucraina, con la figlia Stella (Benedetta Porcaroli), adolescente dipendente dai social network. A sorpresa arriva anche Palmiro (Stefano Fresi), il fratello bipolare di Margherita e Achille, fuggito dalla casa di riposo. Quando il gruppo rimane improvvisamente senza connessione internet, tutti entrano nel panico.
Se in Perfetti Sconosciuti la “scatola nera” di chiunque era messa alla mercé degli altri, Sconnessi è il suo opposto: il mondo virtuale non c’è più, è collassato per qualche istante, per qualche ora. Cosa fare?


Marazziti non ha intenzione di scimmiottare gli isterismi dovuti all’assenza della rete, né ha l’intenzione di giudicare i suoi protagonisti. Li racconta semplicemente nel loro essere, senza i soliti cliché riguardo le differenze di classe sociale o di età.
Il regista stesso ha detto come fosse importante per lui raccontare una storia di varie generazioni a confronto e due mondi diversi e paralleli (una famiglia radical chic ed una famiglia un po’ coatta) e la loro reazione attraverso la rete e durante la sua assenza.
Sconnessi non è un film superficiale come potrebbe apparire: sebbene non tutti i personaggi siano sviluppati a fondo, essi incarnano un aspetto del mondo reale e virtuale, e spesso il secondo è utilizzato per sopperire alle mancanze del primo, per mascherare le fragilità. Mettersi a nudo diventa quel rischio concreto con il quale non si vorrebbe avere a che fare. Troppo difficile spogliarsi mentalmente, meglio essere lobotomizzati.
Le battute e la gag sono intelligenti, efficaci, lo spettatore ride e sorride con amarezza.
E poco importa se i protagonisti sono così diversi, se si è dipendenti da shopping compulsivo, se si è un poco cinici o matti da legare. Tutti vengono trattati con tolleranza, non si disprezza il diverso, perchè ci si impara a conoscere (senza internet) per davvero.
Eppure il film è un manifesto alla speranza, la speranza per un mondo migliore da dare e preservare alle future generazioni: un appello che cresce e richiede attenzione come la nascita di una nuova creatura, per la quale non si desidera che il meglio per il proprio futuro.
La recensione integrale su My Red Carpet

martedì 13 febbraio 2018

Final Portrait - L'arte di essere amici

Circa dieci anni dopo Blind Date, Stanley Tucci torna alla regia con Final Portrait – L’arte di essere amici, film che prende in esame il legame creatosi, in diciotto giorni, tra l’artista Alberto Giacometti e lo scrittore americano James Lord.
Nel 1964, durante un breve viaggio a Parigi, lo scrittore americano e appassionato d’arte James Lord (Armie Hammer) incontra il suo amico Alberto Giacometti (Geoffrey Rush), artista di fama internazionale, che gli chiede di posare per lui, per l’ultimo quadro della carriera.
Tratto da un romanzo autobiografico dello stesso Lord, Un ritratto di Giacometti, il lavoro di Stanley Tucci (che oltre a dirigere, ha scritto la sceneggiatura), presentato allo scorso Festival di Berlino e, successivamente, al Torino Film Festival,  cerca di analizzare il processo creativo di Giacometti e il rapporto di amicizia tra due persone completamente diverse.

Con un lavoro di macchina a mano ed inquadrature ravvicinate, fa solo riflettere il processo creativo attraverso i soliti cliché da artista tormentato: un genio sregolato e sulla strada dell’autodistruzione, che vive le sue giornate tra vino, prostitute e una sigaretta via l’altra.
Forse il lavoro di Tucci si accompagna a quello dell’artista svizzero: non arrivare mai al punto, non riuscire a concludere l’opera.
Tucci ha preferito rimanere in territori conosciuti, senza prendersi rischi di analisi, saggiando il terreno del biopic senza entrarci in toto (sebbene lui abbia ammesso di tenersene a distanza), facendosi mero romanziere teatrale di vita giacomettiana, giorno dopo giorno, per diciotto giorni.


Final Portrait – L’arte di essere amici si avvale anche del lavoro di Danny Cohen, direttore della fotografica e di Evan Laurie (che ha lavorato con Roberto Benigni per film come Il Mostro, Johnny Stecchino e Il Piccolo diavolo), per le musiche. Entrambi, insieme alla scenografia, sono inclini alla malinconia da Nouvelle Vague e sottolineano, anche se non in toni memorabili, il tormento e il caos dell’artista svizzero.



La recensione integrale su My Red Carpet