sabato 3 dicembre 2016

È solo la fine del mondo - Juste la fin du monde

Di Egidio Matinata
 
 
Non è la prima volta che Xavier Dolan si affida ad un testo teatrale per un suo soggetto cinematografico; era già successo con Tom à la ferme, tratto da uno spettacolo teatrale di Michel Marc Bouchard.
Juste la fin du monde è tratto da una pièce di Jean-Luc Lagarce, testo che gravitava nella galassia del giovane autore canadese da almeno cinque anni.


La storia parla di Louis (Gaspard Ulliel), giovane scrittore di successo che da tempo ha lasciato la sua casa di origine per vivere appieno la propria vita, il quale però torna a trovare la sua famiglia con una brutta notizia.
Ad accoglierlo il grande amore di sua madre e dei suoi fratelli, ma anche le dinamiche nevrotiche che lo avevano allontanato dodici anni prima.

E non deve essere stato semplice l’approccio al testo, sia da quanto emerge dalle dichiarazioni degli attori, che di Dolan stesso:
<<Laddove un autore contemporaneo avrebbe depennato automaticamente tutti gli elementi superflui e ridondanti, Lagarce li manteneva, li celebrava. I personaggi, nervosi e intimoriti, nuotavano in un mare di parole talmente agitato che ogni sguardo, ogni sospiro tra le righe diventava – o sarebbe potuto diventare – l’equivalente di un momento di bonaccia in cui gli attori avrebbero fermato il tempo.>>


In realtà la tempesta emotiva che dovrebbe colpire lo spettatore, per buona parte del film è paragonabile più ad acquazzoni estivi che si risolvono in breve tempo, lasciando di nuovo spazio ai raggi del sole.
In altri momenti, invece, alcune battute pesano come macigni, riescono ad essere incisive e toccanti: la frase <<La prossima volta saremo più preparati>> della madre è una vera e propria pietra tombale su tutta la vicenda, sancisce la sconfitta collettiva di tutta la famiglia, poiché probabilmente una prossima volta non ci sarà più.

I personaggi sono tutti ben caratterizzati, ma anche facilmente “leggibili” dopo pochi minuti in cui vengono presentati: la giovane sorella (Léa Seydoux) audace, ribelle e attratta da Louis, il fratello rancoroso (un unico fascio di nervi con la faccia di Vincent Cassel), sua moglie, una succube e tremante Marion Cotillard, e infine la madre (Nathalie Baye), vera capofamiglia alla disperata ricerca di un successore che ne prenda il testimone, interiormente esausta ma capace ancora di tirare avanti la carretta.
Si avverte con più forza la coerenza della struttura nella sua totalità che nelle singole parti.
Set up e finale a parte, il film è costruito come una serie di incontri/scontri tra Louis e i membri della sua famiglia (tre collettivi e quattro individuali), in cui la massima aspirazione degli sfidanti può essere il pareggio (anche se il più delle volte è la sconfitta, sempre collettiva, ad avere la meglio), mentre la vittoria non è mai neanche in palio.


Juste la fin du monde è un buon film. Non ha la forza delle opere migliori del suo regista (Mommy e Laurence Anyways), definito giustamente uno “sciamano pop” ["Dolan è uno sciamano pop e allo spettatore resta il piacere di lasciarsi trasportare dalla sua magnifica sarabanda" (Francesco Boille, Internazionale)] e neanche la purezza e l’autenticità dei suoi primi film; vive in un limbo a metà tra questi due universi, coerente con se stesso e con le sue tante sfaccettature.
Sarà sicuramente etichettato come “film minore”, ma non sarà certo la fine del mondo.

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