Di Matteo Marescalco
Se
si dovesse scegliere un cantautore italiano emblema degli ultimi anni, senza
dubbio si tratterebbe di Calcutta, al secolo Edoardo D'Erme. Classe 1989,
l'autore di Latina è stato il primo artista indipendente (la sua etichetta è
Bomba Dischi) italiano ad organizzare un live in uno stadio, il Francioni della
sua città natale, ma, soprattutto, a suonare in un luogo sacro per la musica
internazionale: l'Arena di Verona. Riuscendo ad ottenere, per di più, un totale
sold-out con mesi e mesi di anticipo sulla data prescelta.
Calcutta-Tutti
in piedi è il documentario di Giorgio Testi dedicato al live dall'Arena di
Verona del 6 Agosto. La serata che ha emozionato 13mila persone si trasforma in
un evento cinematografico che, grazie a Lucky Red, arriverà nelle sale il 10,
11 e 12 Dicembre. In modo alquanto bizzarro rispetto alla norma del music
business ed in linea con il personaggio, i concerti di Latina e di Verona sono
stati gli unici due live estivi a sostegno dell'uscita di Evergreen, terzo
album che ha riconfermato Calcutta come una delle voci più amate dell'indie
italiano. Il calore del pubblico, gli interventi degli ospiti della serata,
Dario Brunori e Francesca Michielin, il susseguirsi dei visual coordinati da
Filippo Rossi e la timidezza impacciata di Edoardo saranno, tra qualche giorno,
a disposizione di chi volesse approfittare dell'uscita evento nelle sale.
Figlio
dei successi di Niccolò Contessa che, a partire dal successo de Il sorprendente
album d'esordio de I Cani, ha sparigliato le carte in tavolo della musica
italiana, Calcutta ha ottenuto il successo con Cosa mi manchi a fare,
debuttando come un outsider ed artista di culto e riuscendo lentamente ad
attirare nei propri confronti una curiosità sempre crescente. Il pop di
Orgasmo, Paracetamolo e Pesto è stralunato e malinconico, merito condiviso
anche dai videoclip diretti da Francesco Lettieri. Cappello in testa e polo
abbottonata, Calcutta entra sul palco proteggendosi nel suo guscio. Inizia dai
successi di Evergreen ma non nasconde di provare vergogna a cantare le sue
melodie storte, quasi fauve (ma è impossibile non riconoscere il suo netto
miglioramento sul versante vocale rispetto agli sgangherati tour acustici di
pochi anni fa). Il cantautore di provincia è prigioniero di una nostalgia di
seconda mano, un sentimento da balera e da case di vacanza che non frequenta
più nessuno.
Le
sue ultime canzoni sono oggetti desueti, carichi di inaudita tenerezza e
vintage prima ancora di essere ascoltate, prede di un tempo estivo che sfugge
tra le dita. Persino al centro del palco e sotto lo sguardo di 13mila persone
che intonano alla perfezione le sue canzoni, Calcutta si pone con gentilezza,
stupore e un po' di ingenuità, incredulo su ciò che sta accadendo. È proprio
questa insicurezza la forza principale di Edoardo, privo del glamour e del
fisico da star del pop (aspetti che, invece, non mancano al suo sodale Tommaso
Paradiso). La sua inadeguatezza, che ricorda perfino quella del debuttante
Piotta, sembra renderlo un personaggio nato dalla mente di Judd Apatow, uno
sfigato di successo. Il film è contornato anche da una serie di sketch surreali
che vedono protagonista Pierluigi Pardo, piccoli flash situazionisti al limite
del nonsense.
Come
abbiamo già fatto in relazione a Conversazione su Tiresia di e con Andrea
Camilleri, rimane ancora una volta da interrogarsi sull'utilità di
un'operazione del genere. Sullo schermo, tra il pubblico all'Arena di Verona,
compaiono vicini i volti di figlia, papà e mamma alle prese con urla e
smartphone, le tenere carezze di due fidanzati chiusi nel loro sicuro cantuccio
ideale, un bambino di 10 anni circa sulle spalle del proprio genitore. Ecco,
chissà che questa eterogeneità non possa essere replicata anche al cinema.
Sarebbe un qualcosa da auspicare e di cui andare orgogliosi.
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