giovedì 15 dicembre 2016

Rogue One: a Star Wars Story – Recensione no spoiler

Di Emanuele Paglialonga

 
Se nel 2015 ci aveva pensato J. J. Abrams a riportare tutti nella galassia lontana lontana, quest’anno è toccato a Gareth Edwards il non facile compito di ricreare quelle atmosfere, in un film che non è il continuo de Il Risveglio della Forza (Episodio VII).
Rogue One, infatti, è un prequel, ma è anche il primo spin-off della saga.
E sono diverse, in realtà, le prime volte: è il primo film di Star Wars senza i titoli a scorrimento iniziali, senza le musiche di John Williams (alla colonna sonora c’è Michael Giacchino), il primo che non segue da vicino le peripezie della famiglia Skywalker (non sappiamo ancora chi è Rey, ma Kylo Ren è comunque uno Skywalker alla lontana). 
 

La “dinastia” con cui bisogna familiarizzare è infatti quella degli Erso: Galen, il padre, interpretato da Mads Mikkelsen, e la figlia, Jyn, Felicity Jones.
Galen è uno scienziato molto ricercato sia dall’Impero che dalla Ribellione; c’è la sua mano, infatti, nella realizzazione della celebre Morte Nera, arma di sterminio di massa che verrà distrutta in Una nuova Speranza (Episodio IV).
L’Impero lo ha rapito e tenuto con sé, ma Galen è riuscito a mettere in salvo sua figlia, con la quale un giorno forse riuscirà a mettersi in contatto, per fare qualcosa in favore di causa della Ribellione.
I protagonisti di Rogue One sono tutti membri della Ribellione, o comunque sia in quota anti-Impero, che hanno compiuto, compiono e compieranno dei sacrifici per una causa ben più grande: ristabilire ordine, ma soprattutto libertà e pace, all’interno di una galassia tormentata da un nemico troppo oscuro e grande. 


Una parola che ritorna spesso all’interno del film è “Speranza”. La stessa speranza che darà il titolo al primo film (in ordine di produzione, il quarto secondo il canone), una speranza nuova, con un nome, un cognome e una bionda capigliatura: quel Luke Skywalker visto solo di sfuggita nell’emozionale scena conclusiva de Il Risveglio della Forza. 

Come si colloca Rogue One all’interno della saga?
Senza dubbio fa meno danni de La minaccia fantasma (Episodio I); Edwards è riuscito a richiamare i toni e le atmosfere di Episodio VII, forse in maniera ancora più dark. Ci sono dei ritorni, più o meno inaspettati, a partire da Darth Vader fino ad un cameo gradito che non poteva non esserci, e un altro, molto più inaspettato, nel finale, che farà saltare dalle poltrone e gridare tutti i fan della saga. Anche solo lo scambio di battute conclusivo vale tutto il prezzo del biglietto. 


Sono questi i momenti in cui il film si eleva, ovvero quando prepara la strada a Episodio IV; in questo senso, l’ultima mezz’ora è fondamentale, e bisogna riconoscere il merito delle armi agli sceneggiatori (Chris Weitz e Tony Gilroy) per il sapiente lavoro di “aggancio”. L’ottica attraverso cui considerare Rogue One un buon film è la riflessione sul sacrificio di un gruppo di ribelli che ha permesso a Skywalker e compagni in Una nuova speranza di compiere quell’atto eroico. 

Senza i protagonisti di questo spin-off, l’Impero sarebbe durato ancora a lungo. Così, il film acquista un senso.
Tuttavia, è davvero un peccato e va segnalato il fatto che, ad eccezione di Felicity Jones e di Donnie Yen, il resto del cast sia molto poco carismatico, Diego Luna in primis che tutto trasmette tranne coinvolgimento. 
Al di là di ciò, il film si colloca cronologicamente bene. Va riconosciuto il buon lavoro svolto e ricordato che sarebbe potuto essere molto peggio di com’è.
L’appuntamento, adesso, è a dicembre 2017 per Episodio VIII, che forse potrebbe intitolarsi Forces of Destiny.

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