giovedì 17 settembre 2015

Everest - Una sfida verso la montagna e verso se stessi

 

La natura dà, la natura toglie.
Potrebbe essere questa la frase tipo da applicare ad Everest.
Questo film narra la storia vera (raccontata nel saggio Aria Sottile scritto da Jon Krakauer), di alcune spedizioni che 1996 miravano a raggiungere la vetta più alta del mondo.
L’unico ruolo da protagonista è da attribuire alla montagna, ed alla sua conquista. Il resto, le spedizioni, i campi base, i rischi, non possono che esserne solo un contorno. E quando la natura decide, da un momento all’altro, di dare delle sberle, bisogna solo pregare per un miracolo.
Tutti in viaggio verso il Nepal, dunque, un luogo che diventa condivisione di sogni, speranze e adrenalina, per uomini e donne, scalatori esperti o meno, che decidono di apporre il proprio sudore, la propria fatica e la propria bandierina di rappresentanza, sulla vetta più alta del pianeta, per motivi sia personali che sociali.
Una bella dose di egoismo, no? E cosa fa rischiare così tanto alla gente?
Ma alla fine dei conti, guardandosi dentro, ognuno possiede la propria dose di egoismo ed il desiderio di arrivare a conquistare un obiettivo, qualunque esso sia. Ed ognuno di noi è disposto a fare sacrifici per arrivare a destinazione.
Una sfida di questo genere, anche solo per il fattore rischio, si può attuare solo con il gioco e la fiducia di squadra. E la sfida da singolo diventa di gruppo; e la squadra non è composta solo da chi si preoccupa di scalare, ma anche da chi cura le previsioni meteo e soprattutto da chi sta a casa con il cuore in gola, giorno dopo giorno, le persone che, nonostante tutto, assecondano il volere dei propri cari.
 
Una foto di gruppo della spedizione che, nel 1996, partì alla volta dell'Everest.

Fatto rilevante è che la montagna è fatta di salite e discese; e una volta arrivati in cima, bisogna solo sperare che niente vada storto.
La natura fa quello che vuole, non si preoccupa del contorno; lo inneva, lo ghiaccia e, come un titano, lo travolge con tutta la sua forza.
La tenacia di chi sta cercando di sopravvivere, e il miracolo, per chi non da più segni di vita, rimangono le uniche cose in cui credere.
La sfida delle spedizioni verso la montagna, diventa anche una sfida verso il pubblico; il film del regista islandese, Baltasar Kormákur (Cani Sciolti), non fa restare incastrati nella poltroncina ed incollati allo schermo. Anzi, lo spettatore viene lasciato respirare, gli vengono date boccate di ossigeno, così come le stesse che hanno i nostri scalatori.
La pecca più grande del film è l’occasione non sfruttata dell’utilizzo del 3D; essa pare solo una funzione marginale in questo contesto cinematografico. Un vero peccato non aver adottato questa tecnica, assimilandola a riprese e scenari mozzafiato.
Così come la scalata dell’Everest necessita di una squadra, anch’essa è stata necessaria alla realizzazione del film, con elementi di tutto rispetto, anche se lasciati (un po’ troppo, nel film) a sé stanti: Jason Clarke, Josh Brolin, Jake Gyllenhaal, John Hawkes, Robin Wright, Michael Kelly, Keira Knightley, Sam Worthington ed Emily Watson.
 


Co-prodotto, diretto e montato da Kormákur, la pellicola, che ha aperto la 72° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, in sezione “Fuori Concorso”, presenta considerevoli buchi nella sceneggiatura, durante lo svolgimento nella trama, tendendo a far diventare il tutto un po’ ridondante, specie nella prima parte, come se non si giungesse mai ad una conclusione propria e definitiva.
Un’apertura un po’ sottotono rispetto agli standard a cui Venezia si era ben abituata fino allo scorso anno; tuttavia, anche se non eccellente e non più brillante di tante altre pellicole che hanno narrato di imprese ai limiti delle possibilità umane, può comunque avere il lasciapassare per diventare significativa (per la vicenda, più che per il film vero e proprio in sé), malgrado le circostanze.

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