martedì 1 maggio 2018

Wes Anderson e la stop motion - Il gran ritorno

Da Berlino con furore (e con un Orso d’Argento in mano per la Miglior Regia) è in dirittura d’arrivo il nuovo film di Wes Anderson, L’Isola dei Cani.
Con L’isola dei Cani, il regista texano ritorna alla tecnica della stop motion, a otto anni da Fantastic Mr. Fox.


L’isola dei cani si snoda come una favola, con tante sfaccettature quanto le facce di un cubo di Rubik.
La favola è ambientata nel Giappone del 2037, e racconta l’impresa del dodicenne Atari Kobayashi, che va alla ricerca del suo amato cane. Quando a causa di una contagiosa influenza canina, il governo decide di mandare in esilio tutti i cani di Megasaki City in una vasta discarica chiamata Trash Island, Atari parte da solo nel suo Junior-Turbo Prop e vola attraverso il fiume per ritrovare Spots, il suo cane da guardia. Una volta atterrato, con l’aiuto di un branco di nuovi amici, inizia un viaggio che deciderà il futuro dell’intera città.

In questo film, Wes Anderson lavora su una relazione affettiva più vasta se si considerano le sue opere precedenti: le strette relazioni familiari vengono relegate ai margini e l’attenzione si concentra principalmente sulle relazioni uomo-animale e tra gli animali stessi, scrivendo un nuovo capitolo circa il legame cane-essere umano (basti pensare a Il Mago di Oz, Lassie, Frankenweenie).

Le sfumature e la sfaccettature che il regista imprime nell’apparente favola convergono su vari temi: la libertà e la difesa del proprio pensiero, l’amicizia, l’accettare il diverso.
Un film dai tratti gentili, talvolta con la stop motion che fa spazio al disegno animato, ma pronto a farsi feroce, contornato da un’amara ironia.
L’isola dei cani è la ripetizione degli stili Andersoniani evoluti ad un livello superiore. Gli avvenimenti sono semplici e costituiti da diverse sfumature create ad hoc per far sì che il racconto potesse essere agevolmente concatenato sui temi base.
L'articolo integrale è su My Red Carpet

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