giovedì 26 gennaio 2017

La la land - Nuova linfa al genere musical (ed ai sogni)

"Ti riporta via, come la marea, la felicità" diceva un classico Disney come La bella e la bestia.
Nel caso di La la land, scritto e diretto da Damien Chazelle (classe '85), forse più che la felicità, è la nostalgia ad assumersi il ruolo di marea.
 

Una nostalgia verso quei film ormai passati e verso quel cinema che era una vera e propria macchina fabbricatrice di sogni: film che facevano fantasticare e vivere milioni di persone in uno stato di danza mentale (e anche fisica) infinita e sospesa.
Un sentimento verso un cinema che forse ha ancora bisogno di fantasticare e di credere davvero, almeno, per quel paio d'ore (giusto la visione del film) al sogno, all'esistenza del romanticismo puro, privo di ogni eccesso di formalismo e di mielosità.
Il sentimento nostalgico deriva da un turbinio di emozioni e di caratteri: ritrovarsi sognatori sia guardando il passato, per quello che sarebbe potuto essere, sia guardando al proprio futuro ed ai propri desideri (che siano quelli di diventare attrice affermata o di preservare e riportare alla ribalta comune un genere musicale come il jazz).
Dal vortice emozionale emerge anche la tenacia, quella volontà ferrea, come in Whiplash, di arrivare fino in fondo agli obiettivi, ai desideri preposti, credendo in quello che si fa, andando incontro come un tir verso chi chiude porte e portoni per riuscire poi a sfondarli.
Ma ciò predispone anche spirito di sacrificio: quanto e cosa si è disposti a rinunciare?
 
 
La la land è un omaggio dichiarato ai musical dei tempi che furono, quelli americani degli anni '40-'50, quelli di Mark Sandrich, Stanley Donen, Vincent Minnelli, George Sidney, quelli di Cappello a cilindro, Un americano a Parigi, Cantando sotto la pioggia, Due marinai e una ragazza.
I riferimenti sono tanti e facilmente individuabili e forse la pecca (se così la si può chiamare) è proprio questa, perché presentandosi come omaggio, si corre il rischio, soprattutto per gli amanti del genere, di fruire il film con un occhio troppo severo o di andare alla ricerca degli elementi comuni e porre una valutazione in base a ciò.
Damien Chazelle è stato capace di costruire un film che potesse contenere elementi di danza e canto facendo in modo che essi potessero solo accompagnare e dare enfasi alla narrazione vera e propria.
Dagli anni '90 ci hanno provato in tanti a dare una botta di vita al genere musical, puntando sull'originalità in diversi versanti, che vanno dalla narrazione alla colonna sonora, e anche con film molto riusciti come Moulin Rouge!, Chicago o Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street. Ma tutti con una narrazione che guarda verso tempi passati, ambientazioni e contesti di decadi addietro.
La forza e la bravura di Chazelle hanno fatto sì che potesse realizzare un film che guardasse all'oggi, ridando linfa al genere del musical: basarsi, utilizzare come fondamenta ed allo stesso tempo rendendo onore ai tempi passati, traslandoli al presente, tenersi agganciati a queste radici ed allo stesso tempo volgerle al tempi ed ai contesti odierni.
 
 
E allora non importa se Emma Stone e Ryan Gosling (alla loro terza collaborazione dopo Crazy, stupid, love e Gangster Squad) risultino magari un minimo impacciati tra danza e canto, quando questi due elementi, come già detto, sostengono, incorniciano la narrazione, nella quale il loro affiatamento è evidente ed equilibrato.
Quello che il giovane regista vuole far comprendere è c'è sempre spazio, c'è sempre tempo per i sogni, che siano cinematografici (e diventando una specie di monito del tipo "Ehi, i generi che hanno avuto fortuna un tempo ed ora non più, non vanno accantonati, hanno bisogno solo di cura e maggior impegno per metterli a nuovo") o che siano personali.
C'è ancora la voglia di volteggiare sospesi nell'infinito, anche solo con l'immaginazione.

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