lunedì 26 settembre 2016

I magnifici sette (che di magnifico ha ben poco)

Nella storia del cinema americano il western è stato un po' il capostipite, il genere dei generi, che ha accompagnato intere generazioni e continua a farlo.

Si dice che ci sono generi, come quello storico o western, che vengono riproposti al pubblico a ciclo continuo per riprendere degli episodi o degli eventi che hanno fatto la storia (quella vera) della patria e presentarla alle nuove generazioni adattata ai temi e alle tecnologie moderne.


Ed ecco così I magnifici sette di Antoine Fuqua, remake dell'omonimo film di John Sturges che a sua volta si rifaceva a I sette samurai di Akira Kurosawa.

Presentato come in apertura al Festival di Toronto ed in chiusura alla Mostra del Cinema di Venezia, questo film si assume il rischio di essere dissociato dai magnifici sette che furono del 1960, di Yul Brynner, Eli Wallach, Steve McQueen.

Grande budget, grande cast e regista più che collaudato (Training Day, King Arthur, Shooter, Attacco al potere, The equalizer) non hanno garantito la buona riuscita di un film che si preannunciava ad essere il blockbuster dell'anno e degno erede del film originale.


La trama è semplice: il villaggio di Rose Creek è invaso da sicari agli ordini di Bartholomew Bogue (Peter Sarsgaard), che vuole cacciare i suoi abitanti per poter sfruttare la miniera d'oro lì vicina. Dopo alcuni omicidi e minacce di morte certa se non vengono venduti tutti gli appezzamenti di terra, alcuni cittadini esausti, tra cui Emma Cullen (Haley Bennett) decidono di arruolare sette mercenari, capitanati dal cacciatore di taglie Sam Chisolm (Denzel Washington) che possano addrestrare gli abitanti di Rose Creek per difendere il villaggio e riconquistarlo.
 

Quello che rimane del film sono più di due ore all'insegna dell'intrattenimento composto da pura violenza gratuita (e poco credibile) e sette aiace a cavallo pompatissimi, omogenei nell'insieme (composto da diverse etnie) ma tratteggiati male se presi singolarmente.
La sceneggiatura, che pare non provenire dalla stessa mente del Nic Pizzolatto di True Detective (oltre che di Richard Wenk), è approssimativa e appare vuota.
Per carità, le due ore del film sono godibili ma di fatto rimane solo intrattenimento puro di banale contenuto senza trasmettere nessun tipo di emozione.

Nell'era che sembra essere quella della guerra al remake, le responsabilità sono tante e un quello che ne esce non è sempre sinonimo di garanzia per lo spettatore.

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