martedì 3 settembre 2019

Venezia 76 - Joker

Proporre una recensione esaustiva di Joker che sia esaustiva è quasi da considerare un'impresa.

Perché il film di Todd Phillips non vuole mostrare una Gotham allo sbando più totale o cercare di capire come Arthur Fleck sia diventato la nemesi di Bruce Wayne, aka Batman.

Questo lungometraggio, nato sulle basi di una storia completamente originale, non fa altro che estrapolare dai fumetti il villain d'eccellenza, senza riferirsi da un comic (o a un cinecomic) preciso. Di fatto, Joker diventa un film che si sviluppa senza argini e per un valido motivo: dare vita ad un personaggio che sia libero di esprimersi in tutte le sue sfaccettature.


Ambientato in una Gotham City degli anni '80, è così che viene mostrata la genesi di Joker, personaggio liberatosi dal corpo di Arthur Fleck, un uomo mentalmente disturbato e incontrollabile, affetto da una patologia che lo rende incapace di contenere le emozioni e i movimenti del volto.

Questo film, che rimane dunque indipendente da qualsiasi progetto precedente che ha affrontato e messo sullo schermo lo stesso personaggio, mostra l'evoluzione psicologica e psicopatica di un individuo reitetto, agli estremi margini di una società che partorisce ostacoli di ogni genere e non permette la piena realizzazione di sé stessi.

In Joker il protagonista è un uomo che prova ad entrare in una società canonizzata, che non vuole e che fa di tutto per lasciarlo alla porta d'ingresso. Un personaggio che per l'élite di Gotham non sarebbe altro che un peso e che si prende anche la briga di burlarlo e di privarlo di quella dignità e di quel rispetto che ogni essere umano meriterebbe di avere.

“Mia mamma mi diceva sempre di sorridere e di mettere una faccia felice”.

L'indole di Arthur sembrerebbe, infatti, essere quella di far sorridere la gente e regalare un attimo fugace di gioia di cui egli non ha mai goduto. Di fatto, l'obiettivo del protagonista è semplice e non è altro che un modo per empatizzare con le persone (bambini o adulti che siano) e per fare in modo che queste ultime possano fare lo stesso con lui.

Ma quando la vita, da tragedia diventa commedia, tutto cambia e per Arthur diventare Joker sembra essere un processo naturale: così facendo, il protagonista diventa il primo a ridere degli altri, di coloro che avevano creato le condizioni per umiliarlo e metterlo da parte, di chi lo aveva condannato ad essere una macchietta di sé stesso.

Quello di Joker è un percorso che porta alla libertà di liberare il proprio Io, di essere libero da qualsiasi tipo di restrizione morale, sociologica e legislativa. Leggi non scritte dettate da una società dominata da classi agiate e da una società che si fà impositiva.

Un processo liberatorio che era già insito in Arthur e che una volta diventato Joker emerge con tutta la sua forza e che si sviluppa con due arti che hanno sempre reso l'uomo libero: la musica e, soprattutto, la danza. E, forse, non è un caso che il film di Todd Phillips sia dotato di coreografie e rimando all'epoca d'oro del musical cinematografico, in particolare agli anni '30, periodo in cui il genere godeva di un'esponenziale diffusione in America e nel resto del mondo.


Anni in cui il cinema era dominato dalla danza rigorosa e precisa, quanto liberatoria di un certo Fred Astaire: un parallelismo che suggerisce come sia importante uno studio e una preparazione a priori per diventare un professionista e, così, sentirsi davvero libero e capace di andare oltre ogni limite. E, guarda caso, nel film compare proprio una scena in cui viene mostrato un film con Fred Astaire, Voglio danzar con te, come non è un caso che, in unaltra scena del film, venga mostrato Arthur intento a guardare Tempi moderni e il ballo sui pattini di Charlie Chaplin. Rimandi che profumano di allegorie di libertà, emancipazione e naturalismo, con la voglia di essere sé stessi e di farlo nella maniera più semplice possibile.

Nonostante l'ambientazione, Joker possiede inevitabili riferimenti ai giorni nostri e ad un mondo, come quello odierno, in cui vige la violenza e in cui i cittadini vengono lasciati in balìa di sé stessi. Un mondo di rivolte in cui Fleck non può che essere il simbolo della libertà di espressione e del cambiamento di uno che, condannato alle ristrettezze e all'infelicità più profonda, si è trovato quasi costretto a reagire drasticamente per evitare l'implosione e di essere trascinato dalla corrente trainata dalle classi privilegiate.


È così che Joker diventa un cinecomic che non è un cinecomic, almeno per come fino ad ora li conosciamo e per come i grandi studi ce li hanno presentati. Ciò che è certo è che il film possiede un'impronta autoriale e una mano registica che segue il protagonista, adeguandosi ad esso a seconda del suo stato d'animo.

Un film che vede protagonista un Joaquin Phoenix brillante ed eccellente, capace di vestire i panni di un personaggio tanto famoso quanto unico e che prende le distanze dalle performance di colleghi che lo hanno interpretato prima di lui.

Un film che, oltre alla regia e all'interpretazione di Phoenix, si compone anche dell'eccezionale colonna sonora di Hildur Guonadottir e dei costumi di Mark Bridges.

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