domenica 31 dicembre 2017

I film più attesi dell'anno che verrà!

A poche ore dal nuovo anno, diventa impossibile non fare il punto sui film più attesi dell'anno che verrà.


Chiamami col tuo nome

Passato dal Sundance Film Festival e dal Festival di Berlino, il film di Luca Guadagnino è uno di quelli certamente più attesi del prossimo anno. Adottato ed apprezzato dagli Usa, il film del regista italiano è ambientato negli anni '80 e narra la storia d'amore tra due giovani ragazzi.




Dogman

Dopo Il racconto dei racconti, ritorna Matteo Garrone sul grande schermo.
Dopo lo stop al progetto di Pinocchio, l'attenzione di Garrone si è concentrata verso il progetto Dogman. Questo film, che riprende i toni cupi e l'atmosfera noir de L'imbalsamatore, si basa sulla storia dell’assassino romano Pietro De Negri, noto come Er Canaro della Magliana, autore dell'efferato omicidio ai danni dell'ex pugile Giancarlo Ricci.




First Man

Dopo il successo di La la land, ritorna Damien Chazelle, con lo scopo di portare al cinema la storia di Neil Armstrong. Un racconto, non un biopic (pare), con Ryan Gosling che tornerà a lavorare con il regista americano.





Isle of dog

Nove anni dopo Fantastic Mr. Fox, ritorna la stop motion di Wes Anderson.
Già annunciato come film di apertura alla prossima Berlinale, Isle of dog è ambientato nel 2037 e racconta la storia di un ragazzino giunto sull'isola dei cani, per ritrovare il suo fedele amico a quattro zampe. Un film che pare essere un omaggio al cinema di Akira Kurosawa ma che, purtroppo, non ha una data di uscita certa in Italia.



 

Il filo nascosto

A circa 3 anni da Vizio di Forma, torna al cinema Paul Thomas Anderson con Il filo nascosto.
Con questo film, Anderson torna a dirigere Daniel Day Lewis alla sua ultima performance della carriera, dieci anni dopo Il petroliere.
Nella Londra del dopoguerra, il rinomato stilista Reynolds Woodcock domina la scena della moda britannica insieme a sua sorella Cyril.
La vita e la carriera dello stilista vengono sconvolte quando egli s'innamora di Alma, che diventerà presto la sua musa.





Loro

Il film di cui si parlerà sicuramente in Italia nel 2018, sarà Loro.
Il nuovo (e supersegreto) lavoro di Paolo Sorrentino si basa sulla figura di Silvio Berlusconi, con Toni Servillo protagonista e pronto ad un'altra metamorfosi dopo Il divo e La grande bellezza.





Ready Player One

Nel 2045 la terra è diventata un luogo inquinato, funestato da guerre, povertà e crisi energetica. Gli abitanti versano in condizioni precarie, stipati in grossi container spogli, senz'altra evasione che il nostalgico mondo virtuale di OASIS. L'universo ispirato ai ruggenti anni ottanta, creato dal milionario James Donovan Halliday (Mark Rylance), conta milioni di login al giorno per la facilità d'accesso (sono sufficienti un visore e un paio di guanti aptici) e gli scenari iperrealistici in cui sfuggire al mondo tetro e pericoloso. La notizia della morte di Halliday arriva insieme con l'ultima, stimolante sfida lanciata dall'eccentrico creatore: una caccia al tesoro da miliardi di dollari.
L'adolescente Wade (Tye Sheridan), da sempre affascinato dalla figura del programmatore, ha collezionato informazioni sulla sua vita e il suo lavoro. Attraverso l'avatar Parzival proverà ad aggiudicarsi il premio in palio, contro i potenti nemici di una malvagia multinazionale (la IOI) e un nutrito gruppo di concorrenti senza scrupoli.
Con questo film Steven Spielberg si rapporta con la realtà virtuale ed è inutile dire che Ready Player One sia uno dei film più attesi dell'anno!





The house that Jack built

Ambientato nell'arco di dodici anni, il film si basa su una partita a scacchi tra la polizia e un killer astuto e spietato, interpretato da Matt Dillon.
Secondo Lars Von Trier, questo film sembra essere il lavoro più cupo della sua carriera.



The post

Non si poteva non inserire l'altro film di Spielberg, The Post.
Il film, con protagonisti Tom Hanks e Meryl Streep, racconta la lotta contro le istituzioni per garantire la libertà di informazione e di stampa e dell'indagine, intrapresa dal The Washington Post, riguardo la copertura di segreti di Stato riguardo la Guerra in Vietnam.





 

The shape of water

Con il nuovo anno, torna Guillermo del Toro con The Shape of Water, film vincitore del Leone d'oro all'ultima Mostra del cinema di Venezia e punto più alto della sua carriera.
Una nuova fiaba ambientata nel pieno della Guerra Fredda americana e che incentra la storia sull'addetta alla pulizie Elisa (Sally Hawkins), una giovane donna affetta da mutismo, e dal suo rapporto con un esperimento governativo: una creatura squamosa di aspetto umanoide.





Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Il film segue le vicende di una madre in cerca di giustizia per la figlia, che ingaggia una lotta contro un disordinato branco di poliziotti pigri e incompetenti. Dopo mesi trascorsi senza passi in avanti nelle indagini sull'omicidio della figlia, Mildred Hayes (Frances McDormand) decide di prendere in mano la situazione. Una campagna personale che diventa una vera e propria battaglia e che coinvolgerà anche il capo della polizia William Willoughby (Woody Harrelson) ed il suo vice Dixon (Sam Rockwell).

domenica 24 dicembre 2017

The Greatest Showman

Che Hugh Jackman sia un attore completo ed eccezionale nel recitare, presentare, ballare e cantare, è un fatto più che noto, dimostrato in mille diverse occasioni. Non poteva, quindi, essere che lui l’interprete di Phineas Taylor Barnum, il self-made man dell’ottocento, che mutò il mondo dell’entertainment, l’imprenditore che mise in auge un nuovo tipo di show che coinvolgesse più classi sociali possibili, con un'attenzione particolare ai freak, protagonisti dei suoi spettacoli. Diretto dall’esordiente regista cinematografico Michael Gracey, The Greatest Showman è un musical che inserisce e rispecchia tutte le qualità possibili di chi ha lavorato al film.     
A partire proprio da Gracey e da Jackman. La carriera e la vita di Barnum si è sempre distinta per il suo ottimismo verso il futuro e la conoscenza delle proprie capacità: ha saputo sfruttare a proprio favore la questione mediatica che lo ha travolto per aver convinto i freaks a lavorare per lui. Barnum non si è mai abbattuto e ha sempre cercato di creare aspettative positive per sé e per gli altri, tra cui dare ai cosiddetti “fenomeni da baraccone” una chance di farsi accettare per quello che sono e di dare la possibilità al pubblico di poterli apprezzare e di uscire dallo spettacolo più contenti di come vi sono entrati.    
 

 Gracey, regista di spot pubblicitari, non ha mai avuto il fine di creare un film che fosse un insieme di musiche riadattate alla Moulin Rouge!. Sicuramente il film si appoggia a basi Luhrmanniane, con un intrattenimento pop e legato in parte alla stessa costruzione visiva del film del 2001: entrambi seguono un protagonista che, macchina da scrivere alla mano, mette tutto se stesso nella realizzazione dei propri obiettivi, che esplode di gioia come del proprio opposto, in un connubio omogeneo tra la parte cantata e recitata. Energia, coreografie e colori che rendono questi due film quasi inscindibili e allo stesso tempo differenti.
Se Moulin Rouge! si basa una vicenda bohémienne, con una continua ascesa al drammatico e con una conclusione abbastanza rara nei musical, The Greatest Showman, pur reggendosi su una sceneggiatura (di Jenny Bicks e Bill Condon) traballante ed abbastanza ricca di imperfezioni che rischiano di cadere nel ridicolo e nel melenso, riesce ad incanalare un’energia contagiosa che persiste dall’inizio alla fine. Uno show che deve continuare per affermare le proprie qualità.      
 
 
Temi come quelli dell’accettazione del diverso per classe, colori, deformità, della rivalsa e del vivere bene e in pace con se stessi, per quanto importanti, vengono solo trattati superficialmente, facendo emergere un limite di analisi; sono temi che diventano solo dei pretesti per montare un grande spettacolo (sia del film, che di Barnum). È chiaro che le parti più importanti del film sono i numeri musicali, che rendono contemporanei i temi appena detti poco sopra e che risucchiano il fruitore, con una colonna sonora di John Debney e canzoni scritte da Benj Pasek e Justin Paul (autori delle canzoni di La La Land).
Con un film del genere si può e si deve parlare di fruitore: egli non sta semplicemente guardando, ma diventa parte fondamentale della realizzazione dello spettacolo, una parte quasi attiva di questo meta-show che potrebbe trovarsi, da un momento all’altro, sospeso a mezz’aria sopra un trapezio come lo si è stati, alla stessa maniera, su quell’elefante bohémien di diversi anni fa.
 
 
Dal canto suo, The Greatest Showman riporta in auge una parte fondamentale di quel musical precedente il tramonto di fine anni ’50. Il riferimento è alla danza Kelliana: sebbene gli stili siano totalmente differenti, in questo film vi è un deciso ritorno alla danza atletica, aggraziata e allo stesso tempo così scomposta e così comunicativa che non si vedeva da tanto, troppo tempo. E questa mediazione non poteva essere, in primis, che di Jackman. Con un personaggio imbastito, cucito e ricamato sartorialmente addosso, Jackman ha dato sfogo in toto alle sue molteplici ed eccelse capacità, dimostrando ancora una volta, e una volta per tutte, che, in realtà, è lui il greatest showman. Un leader, lui così come il personaggio, in grado di innalzare ai suoi livelli un cast fatto sia di iniziati al musical (vedi Michelle Williams) sia di attori avviati (vedi Keala Settle, alias la donna barbuta) e che riesce a far sbocciare uno Zac Efron sempre relegato, suo malgrado, a ruoli teen.
Citando una celebre canzone di Venditti, certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano. Un amore verso un genere che risorge sempre dalle proprie ceneri e che, finché avrà con sé autori ed interpreti in grado di amarlo, glorificarlo, aggiornarlo e farlo amare a loro volta, non morirà mai. E non importa se il film sia perfetto a 360°: in fondo nemmeno Cantando sotto la pioggia lo è.  
 
 
Recensione completa su I-FilmsOnline.

sabato 2 dicembre 2017

Ferdinand - Un toro e la sua libertà

Di Matteo Marescalco
 
 
Ferdinand è un toro pacifico ed amante dei fiori che non ne vuole sapere di scendere in arena ad affrontare un torero. Qualcosa gli suggerisce che, nonostante tutto, sia sempre il matador a vincere sul toro.
In barba alle convenzioni culturali del genere cui appartiene, Ferdinand fugge dall'allevamento di tori da corrida in cui è rinchiuso per cercare una via diversa da quella che le usanze vorrebbero che lui percorresse. Ma il destino gli remerà contro.
  

Al giorno d'oggi, il cinema di animazione si è speso all'interno di ogni genere e le case di produzione specializzate hanno riempito il mercato, provando a garantire un'adeguata stratificazione di prodotti adatti ai diversi tipi di target.
Il regista di Ferdinand è Carlos Saldanha, già autore de L'era glaciale e di Rio, entrambi della Blue Sky Animation.
Il film è tratto da La storia del toro Ferdinando di Munroe Leaf e Robert Lawson (già trasformato in cortometraggio da Disney nel 1938), racconto illustrato che all'epoca venne messo al bando perchè, in un periodo del genere, veniva visto come un pericoloso inno all'autodeterminazione. In effetti, il concetto di fare della propria vita ciò che si vuole, nonostante i retaggi culturali che dominano la nostra società, è la tematica principale di Ferdinand (curiosamente presente anche in Coco, ultimo film Pixar).
 

Vista l'importanza e la difficoltà tematica, l'intera narrazione è costruita su diversi punti di vista che mirano a dialogare con target di pubblico differenziati.
Lo spazio alle gag divertenti e alla volontà di Ferdinand di abbandonare una vita che non gli piace non sottrae importanza all'impianto metaforico che restituisce la descrizione del mondo dei toreri e dei mattatoi. Il problema risiede, piuttosto, nell'assenza di equilibrio tra first storyline e l'accumulazione snervante di gag che mirano unicamente a strappare le risate dei più piccoli ma che lasciano completamente attoniti i più grandi.
Il ritmo complessivo della narrazione è altalenante ed è accompagnato da un'animazione che si attesta sulla creazione di ambienti cromaticamente saturi e ridotti ai minimi dettagli (caratteristiche che finiscono per stridere con il racconto).

Con un regista del genere, ci si aspettava una riflessione differente o, quanto meno, un'elaborazione più brillante sul racconto portato in scena, sulla scorta di quanto fatto da Gli eroi del Natale, piccola gemma delle festività in corso.