giovedì 5 ottobre 2017

Blade Runner - Road to 2049

Dopo Arrival, Denis Villeneuve si rimette in gioco. Questa volta, assumendosi tutti i rischi che un sequel, di un film cult come Blade Runner, può comportare.
Un film come Blade Runner 2049 deve essere in grado di assumersi delle responsabilità mica da ridere e deve riconoscere di avere il fardello del paragone con il primo film.
E, riguardo a questi aspetti, Villeneuve ha veramente pensato a tutto.
 
 
Blade Runner 2049 è film sostanzialmente autonomo che prende in prestito solo parte della trama del film precedente, per creare un legame con esso, ma senza esserne del tutto dipendente. Sia narrativamente che (soprattutto) visivamente, il film, ambientato nel 2049, non si discosta poi così tanto dal nostro presente, diventando quasi a noi più contemporaneo rispetto al primo capitolo, che era ambientato nel 2019.
Anche se, come spiegato sopra, la definizione "primo capitolo" non avrebbe quasi modo di esistere.
Lo stile visivo si accosta più al modo di fare di Villeneuve: il regista ha compiuto una saggia scelta, rimanendo fedele alla sua impronta, alla sua firma registica, senza cadere nella trappola del sentirsi in dovere di omaggiare il film precedente, in una qualche maniera.
 
Blade Runner 2049 è contraddistinto da molti campi lunghi, da un respiro visivo rispetto al film del 1982, in cui ogni inquadratura è sempre farcita. In questo senso, le inquadrature di Villeneuve sono quasi ridotte all'essenziale: inquadrature essenziali ma significanti, in cui ogni significato è stato studiato, capito ed intrecciato. Forma e contenuto che danno luogo ad una moltitudine di segni così fluidi, da essere quasi paragonabili alle note musicali di uno dei migliori spartiti.
Il film di Villeneuve dipende essenzialmente da un altro fattore, oltre la regia: la fotografia di Roger Deakins.
Nominato per ben tredici volte agli Oscar (senza mai vincerne uno), il direttore della fotografia britannico ha dato sfogo a tutta la sua bravura, la prova provata delle sue qualità e capacità.

 

Rispetto al primo film, Blade Runner sembra quasi essere l'unione di due fotografie differenti: una, fredda, glaciale, di una pulizia quasi ospedaliera (che ricorda quella Skyfall); l'altra, sporca, ricca di sbavature, desertica, turbolenta (alla Non è un paese per vecchi).
Blade Runner 2049 è forse dotato di una morale più profonda rispetto al film che lo precede; una morale espressa per lo più a monologhi, domande lasciate lì, a vagare nello spazio infinito. Forse, la debolezza del film è, appunto, eccedere in monologhi troppo filosofeggianti che portano lo spettatore a miticizzare i personaggi che sta vedendo, in una contrapposizione bene/male che sale e scende come uno yo-yo.
Infine, da sottolineare la colonna sonora di Jóhann Jóhannsson e di Hans Zimmer. Il tocco di Zimmer è nettamente palpabile, con i suoi bassi e nel dare rilievo, con la maestria che lo contraddistingue, alle parti salienti del film. Una colonna sonora ricca di attese, che accompagna la conoscenza del passato, della propria vita (anche se più vera del vero). Un'apripista alla ricerca della verità e della certezza.

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